
Videofocus – PROATTIVITÀ E CRESCITA PERSONALE
Ecco il secondo videofocus!
A partire dal concetto di proattività, esploriamo insieme il collegamento tra questa importante capacità ed attitudine con la crescita personale.
Buona visione!
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Videofocus – Il FEEDBACK
Con questo articolo inauguriamo una serie di video mirati a condividere importanti argomenti e strumenti nell’ambito delle competenze trasversali e la crescita personale.
Il primo è sul potente strumento del feedback.
Questo e i prossimi videofocus li puoi vedere anche sul nostro
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Sei proattivo?
Reattività, proattività e crescita personale
Si parla spesso si proattività: parola che evoca la capacità di essere attivi e propositivi, di anticipare ed agire piuttosto che attendere e adattarsi, di prendere decisioni piuttosto che dubitare e temporeggiare.
In realtà il suo esatto significato è poco noto e, soprattutto, gli altri concetti e teorie ai quali questo termine è collegato sono poco conosciuti.
Un modo estremamente valido per descrivere come ogni individuo (ma anche famiglia, team o azienda) si approccia e si relaziona all’ambiente circostante è quello di rappresentarlo all’interno delle sfere di influenza e di coinvolgimento (rifacendoci a Steven R. Covey – “Le 7 regole per avere successo” – Franco Angeli editore).
La più prossima è la sfera di influenza: è tutto ciò di cui ho un diretto controllo e che posso facilmente influenzare o modificare grazie alle mie azioni e al mio atteggiamento, alla mia comunicazione e alla capacità (se ce l’ho!) di modulare le mie relazioni. Nell’ambito del lavoro è relativa a tutto ciò che mi compete e al modo con cui mi relaziono con gli altri, e a tutto ciò che è nelle mie responsabilità e possibilità. In famiglia e con gli amici: il mio ruolo, la qualità delle mie relazioni e la mia capacità di incidere sulle decisioni e sugli altri componenti del gruppo. Anche nel rapporto con il mondo: tutti gli aspetti nei confronti dei quali posso apportare modifiche, per adeguare l’ambiente al mio comfort o interesse.
La sfera di coinvolgimento è più ampia: circonda quella d’influenza e rappresenta tutto ciò che è al di fuori della mia diretta portata ma che, inevitabilmente, mi coinvolge: quali decisioni prende il Governo, cosa fanno le altre persone che sono intorno a me e sul comportamento delle quali non ho possibilità d’intervento, cosa succede nel mondo che influenza in modo globale il sistema in cui anche io sono compreso.
Per fare degli esempi: se sul lavoro decido di essere più efficace e, ponendomi un termine più stringente per raggiungere un risultato, riesco a farlo, allora significa che sto agendo sulla mia sfera d’influenza. Se invece, la mia Direzione (o qualunque altro organo ad alto livello nella mia organizzazione) decide di cambiare una certa politica (per esempio: tutte le ferie devono essere prese tra luglio e agosto), sto vivendo un fenomeno che mi coinvolge ma su cui non posso intervenire direttamente. Dipende da altri, non è nelle mie facoltà poter decidere o fare diversamente.
Ecco dunque un’importante modalità per definire la reattività e la proattività.
Essere reattivo significa essere focalizzato, attento e responsivo a ciò che è tipico della zona di coinvolgimento. Quando mi comporto in questo modo adotto un atteggiamento tipicamente ‘animale’: rispondo prontamente agli stimoli esterni (che non controllo) senza pianificare le mie azioni essendone padrone, anche perché spesso entrano in gioco automatismi inconsci. Sono soggetto (e oggetto delle) alle sollecitazioni. Essere reattivo non è una modalità né “giusta” né “sbagliata” di per sé: come sempre, bisogna capire se e quando è funzionale. In una situazione di emergenza e/o di esposizione a pericoli oggetti esterni la reattività è un fattore determinante per la sopravvivenza ed è quindi utile. Anche la reattività intesa come capacità di risposta immediata e congruente alle comunicazioni all’interno di un team è un valore che rende fluida l’operatività ed è un automatismo importante da implementare.
Nel caso in cui, invece, la reattività pervade tutta la mia quotidianità e la mia vita con l’intento (sotteso) di mantenermi nella mia zona di comfort, allora può essere decisamente disfunzionale. In questo caso posso sentirmi schiacciato, impotente e frustrato e assolutamente demotivato a cambiare, a crescere.
Essere proattivo significa, invece, essere focalizzato sulla mia zona d’influenza, cercando sempre di ottenere i migliori risultati in ciò che sto facendo e sforzandomi costantemente di analizzare e modificare gli aspetti della mia realtà in funzione di obiettivi ben costruiti.
È ovvio che nella quotidianità e nella realizzazione di un ‘progetto di vita’ c’è una differenza abissale tra i due comportamenti; essere proattivi ci aiuta e ci orienta a conseguire specifici risultati e ci preserva, ci protegge dall’influsso della zona di coinvolgimento. Essere proattivi, inoltre, ha un’altra importante conseguenza. Se sono proattivo e rendo migliore il mio modo di vivere, raggiungo risultati e cresco, vado ad ampliare la mia zona di influenza: ovvero divento più ‘potente’.
Reattività Proattività
Ci saranno cose che in una situazione iniziale sono nella zona di coinvolgimento e, dopo un mio percorso di crescita, possono rientrare nella mia zona d’influenza. Facciamo un esempio: se sono un ‘normale cittadino’ (una lavoro nella media e con medie responsabilità) non potrò fare molto per la fame nel mondo o per orientare la politica energetica del mio paese. Ma se divento (crescita) il presidente della FAO o il consulente per l’energia numero 1 del mio Governo, potrò far rientrare alcune azioni per cambiare quelle situazioni nella mia zona d’influenza.
Ecco come, dunque, il concetto di proattività è intimamente connesso a quello della crescita, personale e professionale (che hanno molti tratti in comune, a partire dallo sviluppo delle competenze trasversali).
Un altro modo di comprendere la reattività e la proattività ci viene offerto dalla PNL (Programmazione Neuro-Linguistica). In PNL un argomento chiave sono i cosiddetti “metaprogrammi”: schemi di pensiero e di comportamento che risiedono nel nostro inconscio (vi si sono depositati a seguito di atteggiamenti mentali e comportamentali iterati nel tempo, che sono diventati abitudini) e che orientano in modo automatico alcune importanti funzioni. Tra questi, James e Woodsmall (vedi ‘Time Line’ – Casa editrice Astrolabio) identificano un “metaprogramma” di relazione con il mondo, di tipo polarizzato (ovvero con due configurazioni opposte).
Secondo gli autori ci sono due tipi di persone: quelle che si adattano al mondo (leggi ‘reattività’) e quelle che adattano il mondo a sé (leggi ‘proattività’). Tu che tipo sei, solitamente?
Più Clark Kent o Superman?
Tieni conto che finora, effettivamente, abbiamo solo fatto della teoria.
La domanda successiva è: come faccio ad essere proattivo?
Su cosa devo lavorare e quali strumenti posso usare?
Questo è determinante chiederselo se voglio concretamente cambiare la mia modalità. I metodi e gli strumenti ci sono; sono tanti e si possono acquisire.
Il modo migliore per conoscerli ed iniziare ad usarli è intraprendere un percorso di crescita personale affiancati da persone esperte e disposte a supportarti con un coaching personalizzato.
In Accademia proponiamo corsi aperti alla partecipazione individuale utilissimi a questo scopo: ai soci offriamo percorsi certificati* in PNL che, con opportuni innesti da altre discipline (dal problem solving strategico alla comunicazione ipnotica), ti daranno una formazione di base seria, aderente alla disciplina originale e con interessanti spunti su teorie e tecniche complementari.
Siamo concreti e diciamoci le cose come stanno: non ti proporremo il ‘nostro nuovo metodo innovativo’ come fanno tantissimi altri, né cammineremo sui carboni ardenti. Solo una PNL rigorosa nella basi e avanzata nei metodi e nei collegamenti multidisciplinari.
Qui trovi i corsi del 2020 in PNL progettati per te
*I formatori in PNL dell’Accademia sono trainer e master certificati dalla NLP Society di Richard Bandler.
Ecco il videofocus associato
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Incontri gratuiti di coaching e sessioni psicologiche
L’Accademia ha raggiunto un accordo interno e con i professionisti che collaborano con noi, al fine di offrire un servizio gratuito per i soci.
Si tratta di poter avere un primo incontro con un coach o con uno psicologico.
Il coaching è rivolto a chi vuole raggiungere obiettivi in ambito professionale, scolastico, sportivo, affrontare situazioni familiari e relazionali per effettuare un cambio di stato, mirando a un risultato specifico.
L’incontro psicologico è rivolto a chi si trova in un momento di disagio e necessita di un sostegno, a chi vuole conoscere se stesso nel profondo e necessita di una ristrutturazione cognitiva e affettiva.
Gli incontri di coaching avverranno con i coach Laura Rizzi o Gianni Latini (in funzione delle motivazioni espresse nella richiesta) e si terranno presso la sede dell’Accademia in via Marco Polo 7, San Secondo di Pinerolo.
Gli incontri di natura psicologica si terranno con il dr. Andrea Di Ruvo, presso lo studio di Nichelino in via Torino 126 c/o Fisiocenter.
L’iniziativa è rinnovata anche per il 2020!
A seguito del primo incontro, le sessioni potranno proseguire secondo accordi personali con l’esperto.
Per richiedere il primo incontro, inviare una mail indicando il motivo della richiesta a:
- per il coaching: coaching@
accademiaformazionecrescita.it - per il supporto psicologico, direttamente a: andrea.diruvo@gmail.com
Se non sei ancora socio dell’Accademia e vuoi cogliere al volo questa occasione, ASSOCIATI!
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Conoscere il cervello (V) – La triade
Negli scorsi articoli abbiamo presentato alcune caratteristiche del cervello, a livello funzionale interno.
Di fatto il cervello è così profondamente connesso a tutto il resto del nostro corpo che è impensabile immaginare che le sue funzioni non si riverberino anche nel nostro ‘sentire’ fisiologico e nel nostro linguaggio (che è direttamente controllato dal cervello, a livello consapevole e inconsapevole).
La neurologia (pensieri, emozioni, sensazioni, etc.), la fisiologia (il nostro status fisico, dato sia dal benessere/malessere interno ma anche dal nostro atteggiamento comportamentale) e il linguaggio (la componente verbale della nostra comunicazione, in tutte le sue sfaccettature) costituiscono una triade di elementi continuamente interconnessi: ovvero in grado di modificarsi reciprocamente, a coppie o tutti insieme.
Ciò significa che, per esempio, quando siamo tristi (neurologia disfunzionale allo ‘star bene’) non abbiamo soltanto la possibilità di lavorare direttamente sui nostri pensieri e sulle nostre emozioni per cambiare il nostro stato (cosa piuttosto difficile…), ma possiamo benissimo farlo partendo da uno degli altri due elementi: possiamo modificare il nostro status fisiologico modificando la nostra postura e il nostro respiro, per esempio, o metterci in azione e fare una qualche attività fisica che ci piaccia. Questo influenzerà certamente la nostra neurologia e, facilmente, staremo meglio.
Allo stesso modo possiamo modificare il nostro linguaggio, soprattutto il nostro ‘dialogo interiore’, per parlarci in modo più potenziante, proattivo, positivo.
Questa stessa correlazione non funziona solo per l’individuo in sé; funziona anche tra due interlocutori o tra un interlocutore e un’audience, come nel caso della comunicazione pubblica. Ovvero: la mia fisiologia e il mio linguaggio (non solo il contenuto relativo alle informazioni ma soprattutto la linguistica, cioè il modo di dire ciò che dico) influenzano fortemente l’altro/gli altri e imparare a modulare queste componenti fondamentali del nostro modo di essere, di porci verso gli altri e di comunicare è fondamentale per avere relazioni felici e risultati migliori.
Se ti interessa approfondire la conoscenza di questi aspetti e capire come utilizzare queste competenze – anche trasformate in tecniche pratiche ed efficaci – puoi farlo direttamente insieme ai formatori dell’Accademia durante il prossimo corso di Programmazione Neuro-Linguistica che parte il 9 maggio 2020.
A presto!
Gianni Latini per l’Accademia
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Conoscere il cervello (IV) – L’orso Yoghi
Parlando di computer, un progettista che lavora su un nuovo prodotto ha come obiettivo principale quello di garantire: affidabilità, efficacia ed efficienza. Poi, più capacità di memoria e velocità del processore ci sono (performance elevate) tanto di guadagnato: in ogni caso le prime tre caratteristiche sono assolutamente imprescindibili.
La Natura, come ‘progettista evolutivo’, ha impiegato milioni di anni per arrivare all’ultima release del suo capolavoro: il cervello dell’homo sapiens (le più antiche datazioni sulla nostra ultima specie arrivano a circa 300 mila anni fa). E il cervello umano è un vero e proprio super-computer biologico, capace di performance elevatissime e con capacità che, ad oggi, restano lontanissime anche per i più recenti sviluppi dell’intelligenza artificiale. Di fronte al cervello umano queste ultime tecnologie possono solo impallidire, perché il cervello è in grado di pensare, astrarre, deformare la realtà per creare: facoltà per ora solo umane.
Il cervello assolve contemporaneamente a moltissimi ‘lavori’: gestisce gli input sensoriali interni ed esterni, tutti gli automatismi corporei per il monitoraggio e le variazioni delle condizioni di lavoro di tutti gli organi e poi sviluppa e processa tutte le facoltà elaborative, che sono in parte a livello consapevole e in gran parte inconsapevoli (vedi la III parte di questa serie di articoli). In ogni caso, è una macchina che si è evoluta per essere efficace ed efficiente e la sua innata tendenza all’efficienza gli fa risparmiare energia ogni volta che può: quando le condizioni lo consentono va in automatico o ‘si spegne’.
Questo fatto ha ripercussioni rilevanti sui comportamenti e le strategie che ognuno di noi adotta per affrontare i propri compiti, sia a breve che a lungo termine. È un po’ come l’orso Yoghi: quando ha rubato il suo cestino quotidiano al campeggiatore di turno del parco di Jellystone… ha assolto a tutti i suoi compiti e va a farsi un sonnellino.
Da ciò derivano, tra le altre, due conseguenze importanti.
La prima è una certa resistenza al cambiamento, perché ogni variazione alle sue abitudini elaborative lo porta in una zona di dispendio energetico. Questo spiega la reticenza, solo in parte consapevole (anche in questo caso) delle persone a cambiare, anche se le condizioni di partenza non sono favorevoli. Ognuno di noi tende a stare nella propria zona di comfort.
La seconda è relativa ad un aspetto linguistico della comunicazione, ovvero l’efficacia di un linguaggio diretto e a volte quasi impositivo che è funzionale utilizzare in alcuni casi: il cervello dell’interlocutore non deve scegliere tra più opzioni ed elaborare strategie di comportamento perché trova molto più comodo la semplice esecuzione di un compito.
Se ti interessa approfondire la conoscenza di questi aspetti e capire come utilizzare queste competenze – anche trasformate in tecniche pratiche ed efficaci – puoi farlo direttamente insieme ai formatori dell’Accademia durante il prossimo corso di Programmazione Neuro-Linguistica che parte il 9 maggio 2020.
A presto!
Gianni Latini per l’Accademia
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Conoscere il cervello (III) – L’iceberg
Con questo post iniziamo a presentare alcune caratteristiche funzionali del cervello, estratte dall’osservazione e dalla sperimentazione condotte nel recente passato pensando al cervello come a una ‘scatola nera’ (vedi la parte II di questo ciclo) e andando alla ricerca di schemi e modelli rilevabili dall’esterno, ovvero di tipo comportamentale.
Prima di iniziare a esporti queste caratteristiche voglio chiarire nel modo più assoluto che queste caratteristiche funzionali sono frutto di una grande approssimazione, rispetto all’incredibile complessità generale del cervello e delle sue potenzialità (vedi la parte I).
Di fatto questi schemi e modelli sono dei ‘riduttori di complessità’ (concetto che potremmo estendere addirittura a tutta la scienza): ovvero, non propongono nessuna verità assoluta, nessuna incrollabile certezza, nessuna vera conoscenza. Sono frutto di un approccio statistico e di ricerca e nessun ricercatore che si possa definire tale dovrebbe utilizzare questi termini riferendosi ai propri modelli e ai propri risultati. Perché la realtà dei fenomeni fisici, umani, relazionali e della comunicazione sono talmente complessi che solo con un approccio cauto, possono essere in qualche modo ‘ridotti’ ad una quantità gestibile di informazioni e di modelli.
Allora iniziamo con la prima delle 4 caratteristiche che esploreremo insieme.
Lo sapevi che circa l’80% dell’attività del tuo cervello è al di sotto della soglia della tua consapevolezza?
Se tutti i processi elaborativi del tuo cervello fossero congelati, proprio come succede per un iceberg solo una piccola parte emergerebbe dall’acqua. Ovvero: ciò che tu puoi indirizzare, controllare e monitorare tra tutti i processi elaborativi, è una parte pari a circa il 20%. Sono i tuoi pensieri e i ragionamenti che fai consapevolmente, il tuo dialogo interno, l’accesso ai tuoi ricordi e alla memoria a lungo termine che partono da un tuo comando. Tutto il resto (o quasi), il tuo cervello lo fa ‘da solo’.
Sicuramente non ti stupisce sapere che il tuo cervello si occupa, in modo per te inconsapevole, di molte funzioni vitali: del tuo respiro, della regolazione del battito cardiaco e dei movimenti intestinali; riceve continui ‘input’ interni dal tuo corpo in base ai quali regola il funzionamento dei vari organi. Una parte a te inconsapevole guida la tua auto mentre vai al lavoro, muove le tue gambe e regola la tua attenzione visiva, uditiva (sensoriale in genere) mentre cammini, muove le tue braccia coordinandone i movimenti mentre nuoti, giochi a tennis, usi il martello.
Sì! Perché la parte consapevole si prende cura di indirizzare l’azione (“adesso nuoto a rana”, “tiro un dritto lungo-linea”, “picchio più forte”) ma l’azione vera e propria è poi gestita ‘in automatico’ dalla parte inconsapevole.
Queste capacità tu le hai acquisite in passato con un’azione inizialmente consapevole; nel momento in cui sei stato abbastanza abile e abituato a fare queste cose, queste capacità sono passate nella parte inconsapevole. Hai presente il processo di apprendimento in quattro fasi? Sì? Quello. No? Ne riparleremo.
Quello che potrebbe stupirti è che la componente ‘immersa’ del tuo cervello si occupa anche di importantissime funzioni che potresti credere essere sotto il tuo totale controllo: prendere decisioni, impostare strategicamente le tue azioni, valutare le tue attività, stabilire il modo di dare e ricevere informazioni, impostare e gestire le relazioni con altre persone. E molte altre.
Facendo un parallelismo con un computer, è come se tutte queste attività inconsapevoli corrispondessero ai programmi che mantengono in vita il pc: quelli del sistema operativo. Lavorano sotto traccia, orientando il tuo comportamento in modo talmente sottile e potente che tu non te ne rendi neppure conto.
Uno splendido esempio di un’attività che viene svolta solo in parte consapevolmente è la comunicazione. Nella comunicazione, infatti, si distinguono tre livelli (anche questa impostazione è un riduttore di complessità…, sappilo).Dei tre livelli della comunicazione soltanto una parte è consapevole. È un aspetto estremamente importante e affascinante di tutte le discipline che si occupano di comunicazione e per le quali la comunicazione è veicolo primario: l’ipnosi, il public speaking, le tecniche di leadeship e molte altre.
Se ti interessa approfondire la conoscenza di questi aspetti e capire come utilizzare queste competenze, anche trasformate in tecniche pratiche ed efficaci , puoi farlo direttamente insieme a noi: saremo contenti di farlo con te e con gli altri formatori dell’Accademia durante il prossimo corso di Programmazione Neuro-Linguistica che parte il 9 maggio.
A presto!
Gianni Latini per l’Accademia
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Conoscere il cervello (II) – La scatola nera
Se ti dico ‘scatola nera’ a cosa pensi? Qual è l’immagine che il tuo cervello va a recuperare?
Molto probabilmente quella di un aereo. Perché in effetti la scatola nera è un oggetto installato su tutti gli aerei, le grandi navi e i mezzi trasporto in generale che contiene dei dispositivi di registrazione: dei dati di navigazione, dei parametri del mezzo, delle comunicazioni, etc. Il tutto al fine di risalire alla storia recente, in caso di incidente. Per questo motivo la ‘scatola nera’ deve essere molto robusta, stagna e resistente alle alte temperature: affinché i dispositivi di registrazione possano continuare a funzionare in tutte le condizioni.
In realtà la scatola nera di cui mi interessa parlarti è un’altra: quella che nella seconda guerra mondiale era installata su aerei e navi da guerra e che conteneva qualcos’altro…
Immagina di essere nel bel mezzo della seconda guerra mondiale e di essere a capo di un esercito: diciamo quello tedesco. Devi necessariamente comunicare con i tuoi mezzi per assegnare le missioni: come comunichi a distanza e in modo sicuro? Certamente ti dovrai affidare alla comunicazione via radio e mandare messaggi su una certa frequenza stabilita, affinché i tuoi ‘terminali’ in ascolto possano riceverti. Ma non potrai mandare messaggi ‘in chiaro’, perché altrimenti un nemico in ascolto (che abbia scoperto la tua frequenza di trasmissione) potrebbe facilmente intercettare i tuoi dispacci di guerra. Se conosce il tedesco per lui sarebbe banale capire cosa comunichi e a chi.
Allora devi mandare dei messaggi cifrati: con una tua ‘macchina’ trasformi il tuo messaggio ‘in chiaro’ in un messaggio criptato: a sua volta il tuo terminale (aereo, nave, etc.) dovrà avere a bordo una macchina uguale alla tua in grado di decriptare i messaggio in ingresso (e criptare quelli in uscita). Chi è in ascolto per ‘spiare’ le tue comunicazioni non potrà capire cosa comunichi senza avere la tua macchina e senza sapere come funziona: ovvero senza sapere come usa le ‘chiavi’ create per criptare e decriptare i messaggi.
Questa macchina speciale (crittografica) dove viene tenuta a bordo? Dentro una scatola nera!
Questa scatola deve avere una caratteristica fondamentale: deve essere praticamente impossibile da aprire perché se il nemico ne trova una (perché abbatte un tuo mezzo) potrebbe, da lì in avanti, studiarne il funzionamento e cercare di capire come costruisce le chiavi di criptazione e come usa quelle per decriptare: insomma, potrebbe riuscire a decifrare tutti i tuoi messaggi.
Allora tu cosa fai? Oltre a costruirla in modo super-solido e saldarla su tutti i lati la doti di una carica esplosiva, cosicché, nel caso qualcuno cercasse di aprirla gli esploderebbe tra le mani. In questo modo per nessuno sarebbe possibile fare il reverse engineering della macchina, per studiare come funziona. Hai mai visto il film ‘The Imitation Game’ sulla storia di Alan Turing? Te lo consiglio.
Il punto è questo: chi veniva possesso di una scatola nera aveva una sola possibilità per studiarla (senza aprirla!). Inviare messaggi in input alla ‘macchina’ lì contenuta e studiarne gli output. Per migliaia di volte, fino a trovare delle ricorrenze, degli schemi: insomma, qualcosa che permettesse di capire cosa facesse.
Per lo studio del cervello avviato verso gli anni ’60 del secolo scorso è stata più o meno la stessa cosa. Vista la sua complessità (leggi la prima parte di questo blog) e vista la volontà di seguire un metodo scientifico e basato su dati osservabili, un modo per capire come funziona il cervello è osservare cosa ‘produce’, senza interessarsi del come lo fa.
Quindi studiare che ‘output’ produce in situazioni diverse (‘input’). In particolare, ciò che è possibile studiare sono gli output che hanno un’evidenza esterna. Comportamenti e linguaggio. È molto più complesso, se non impossibile, studiare i ‘pensieri’: se chi pensa non te ne parla, e quindi traduce il pensiero in linguaggio, tu non puoi studiare ‘direttamente’ il pensiero. A quella ‘realtà primaria’ non puoi accedere direttamente.
Sulla scorta di questo importante assunto (ovvero: non possiamo sapere come funziona esattamente il cervello al suo interno e non ce ne interessiamo) il metodo è stato semplice: condurre esperimenti e osservazioni empiriche basate dapprima sull’analisi statistica dei dati in output raccolti e poi darne un’interpretazione media, modellando degli schemi; di ‘apparente’ funzionamento interno (inverificabile direttamente), di comportamento espresso e di linguaggio adottato.
Dopo decenni di studi*, osservazioni e modelli costruiti per metodo induttivo si giunti a delineare una serie di caratteristiche fondamentali del cervello: nelle prossime puntate del blog ne esamineremo 4.
Seguici!
(*) la Programmazione Neuro-Linguistica si è avvalsa di questo tipo di studi. Su questa disciplina scopri di più qui.
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Conoscere il cervello (I) – Un po’ di numeri
Oggi sappiamo che nel cervello ci sono tra i 100 e i 200 miliardi di neuroni. Gli studi più recenti delle neuroscienze ci dicono che ogni neurone è potenzialmente connesso con un numero molto alto di suoi ‘vicini’: un numero che va dai 1.000 ai 10/20.000 a seconda delle diverse regioni cerebrali.
Questo significa che in un singolo cervello esistono da un minimo di circa 100 mila miliardi di connessioni potenzialmente utilizzabili (potremmo dire ‘cablate’) fino a circa 2 milioni di miliardi di connessioni. Per semplicità arrotondiamo a 1 milione di miliardi, ovvero 1015 connessioni (un ‘1’ iniziale seguito da 15 zeri).
Ora facciamo un parallelismo e parliamo di giochi con le carte.
Prendendo un mazzo da 52 carte (13 per ognuno dei 4 semi) e giocando a poker, dove si distribuiscono ai giocatori gruppi di 5 carte, ci possiamo chiedere quante possibili combinazioni ci sono di estrarre gruppi diversi di 5 carte ciascuno, partendo dal mazzo intero. La risposta è molto semplice e ce la dà il calcolo combinatorio. Tralasciando i dettagli del calcolo, la risposta è questa: 2.598.960 (oltre due milioni e mezzo di combinazioni). Sei sorpreso?
Cos’è un pensiero?
Volendo stare al gioco del parallelismo facciamo questa ipotesi: che un pensiero (o, se vuoi, una percezione o un’emozione) corrisponda all’attivazione di un certo numero di connessioni tra neuroni: diciamo 100. Quindi immagina un ‘percorso neuronale’ che tocchi 100 neuroni e che si illumini quando viene attivato, che si sviluppa tra 1015 connessioni potenziali.
La domanda è: quante possibili combinazioni ci sono di comporre ‘pensieri’ di 100 connessioni ciascuno partendo da 1015 connessioni? Un numero così elevato che dovrei scrivere un ‘1’ seguito da un tale numero di zeri da non bastare 100 anni a riportarlo su carta (ammesso di avere carta a sufficienza) scrivendo uno zero al minuto.
E questo solo considerando una possibile ‘estrazione’ a gruppi di 100 elementi. Ma se estendiamo questo esempio a gruppi di un numero ‘n’ qualunque di elementi – che possono corrispondere a tipologie diverse di pensieri o ‘elaborazioni’ del cervello (percezioni sensoriali, ricordi, ragionamenti, etc.) capisci bene che le possibilità sono praticamente infinite.
Allora è chiaro che di fronte a una tale complessità non è possibile costruire un modello preciso di un qualunque singolo cervello al fine di prevedere ‘esattamente’ come funziona e cosa produca, per esempio rispondendo a uno stimolo (interno o esterno che sia). Detto in altri termini: se prendo 100 mila persone e le sottopongo allo stesso stimolo esterno, per esempio un’immagine o una parola, non è possibile prevedere esattamente quali ‘pensieri’ (intesi come output allo stimolo) vengano generati.
Ciò che si può fare è osservare come si distribuiscano le diverse risposte dei 100 mila cervelli e trovarvi delle ricorrenze, ammesso che esistano. E, se esistono, iniziare a costruire un ‘modello funzionale’ del cervello.
Quindi, un modo scientificamente fondato per approcciarsi a questa complessità – e alla metà del secolo scorso, prima delle nuove scoperte delle neuroscienze e dell’avvento delle nuove tecnologie informatiche era l’unico modo – è fare osservazioni empiriche e/o esperimenti basati su metodi statistici, in modo da mettere in evidenza eventuali schemi di comportamento e di risposta agli stimoli dominanti.
Rilevare schemi e ‘modellare’ è l’approccio che hanno avuto alcune discipline di indagine sviluppate in quegli anni.
Tra queste, la Programmazione Neuro-Linguistica (schematizzata a partire dagli anni ’70) ha permesso di individuare alcune funzioni importantissime del cervello, relative alle connessioni e all’interdipendenza tra linguaggio, neurologia e fisiologia.
Su questa disciplina scopri di più qui.
Continuiamo il discorso sul cervello nel prossimo post. Seguici!
Gianni Latini per l’Accademia